La Democrazia in Brasile (Seconda parte)

La corruzione

Ma alla fine, la corruzione è un’invenzione della rete Globo e una semplice scusa per rovesciare il governo? No, assolutamente no. Purtroppo il dibattito pubblico è tanto deformato e accecato dai fattori che stiamo descrivendo da far perdere di vista quello che le indagini stanno oggettivamente rivelando. Al di là dei casi individuali, che si definiscono solo dopo il giudizio definitivo, sembra assodato al di là di ogni ragionevole dubbio che esiste un sistema organizzato di finanziamento illecito delle campagne elettorali e dell’attività politica dei partiti. La Petrobras serviva come fonte costante di risorse per i partiti, principalmente quelli al potere. Le grandi imprese brasiliane, in particolare quelle che dipendono da appalti pubblici, riservano regolarmente parte delle loro risorse per pagare politici di tutti gli schieramenti. Questi finanziamenti erano in parte leciti, perché la legge brasiliana permetteva il finanziamento delle campagne elettorali da parte delle imprese, in parte illeciti e nascosti. Il denaro fornito illegalmente può essere diretto a partiti o a semplici candidati o a politici considerati “importanti”, prendendo quindi la forma di vere tangenti. Il PT ha tentato durante questi anni, timidamente, di mettere mano alle leggi che regolano il finanziamento della politica, ma si è scontrato con resistenze insuperabili del congresso, e probabilmente ha anche ceduto alla tentazione di accettare le regole di un sistema illegale adeguato a garantire la conservazione del potere. La corruzione, inoltre, è dilagante in tutte le istituzioni periferiche. La politica è considerata dalla maggior parte dei suoi protagonisti un mezzo per far denaro. Indentificare il fenomeno corruttivo, endemico nella società brasiliana, col Partido dos Trabalhadores, o anche considerarlo il principale protagonista di questo sistema costituisce un vero delirio psicotico, una disfatta del principio di realtà; ma è un fatto che il PT è entrato in questo sistema, non ha saputo cambiare le regole del gioco e anzi, si è messo a giocare allo stesso tavolo dei suoi nemici pensando che fosse l’unico modo per mantenere il potere, o anche in parte per reale svendita dei suoi ideali originari. È anche un fatto che  il governo Dilma abbia aumentato con concrete misure legislative e amministrative l’autonomia e la capacità operativa degli organi inquirenti. In sostanza è vero, come sostiene Dilma, che il suo governo ha sostenuto e potenziato la lotta alla corruzione dal punto di vista investigativo-giudiziario, ma è anche vero che i governi del PT si sono mostrati incapaci di combatterla sul versante della pratica politica e delle riforme legislative necessarie.

Il congresso e l’Impeachment: un golpe?

Arriviamo qui al punto, al centro del dibattito politico attuale e anche ai fatti che i giornali internazionali stanno ponendo all’attenzione dei loro lettori. È in corso un tentativo di aprire un processo di Impeachement della presidentessa che, se andasse a buon fine, porterebbe alla caduta del PT e a un ‘governo provvisorio’ che amministrerebbe il paese fino alle elezioni del 2018. Parallelamente, una parte della magistratura e i mezzi di informazione sono concentrati nel tentativo di rendere impraticabile una eventuale ricandidatura di Lula, attraverso una offensiva mediatica e giudiziaria basata su presunti illeciti dell’ex-presidente. È necessario un breve approfondimento sul Congresso Nazionale, il parlamento brasiliano.

Le elezioni parlamentari brasiliane avvengono secondo modalità singolari. Il Senato è eletto per via maggioritaria; le elezioni della Camera sono proporzionali, con voto di lista e  possibilità di esprimere una preferenza; tuttavia, sono vissute dalla popolazione e dai suoi stessi protagonisti come elezioni maggioritarie uninominali. Voglio dire: le campagne elettorali sono totalmente personalistiche; i singoli candidati si promuovono come se fossero appunto candidati di elezioni uninominali, spesso nascondendo il partito o la lista a cui appartengono. Gli elettori votano il candidato (in realtà stanno esprimendo una preferenza) senza avere, spesso, la minima idea di quale partito stanno votando. Sembra surreale, ma è esattamente così. Questa pratica porta a una tremenda selezione su base patrimonialistica (è eletto chi, per una ragione o per l’altra, ha i soldi per finanziare una campagna elettorale personale), a una fedeltà partitaria spesso inesistente (il PT in questo fa relativamente eccezione) e al fatto che il comportamento parlamentare di ogni singolo deputato e senatore obbedisce in genere a considerazioni totalmente estemporanee e a calcoli di convenienza svincolati da qualsiasi riferimento ideologico o semplicemente politico. È considerato normale per esempio che i parlamentari di uno dei partiti più rappresentati, il PMDB, si dividano tranquillamente tra sostenitori e acerrimi nemici del governo in carica.

Il voto favorevole o contrario dei parlamentari ai provvedimenti proposti dall’esecutivo è quindi regolato da estenuanti trattative, spesso personali, basate su favori e vantaggi specifici dati a questa o quella forza, a questo o quel parlamentare. Un procedimento di tipo corruttivo continuato e istituzionalizzato.

Il processo di impeachment contro Dilma Roussef non ha nessuna base giuridica e costituirebbe una totale forzatura costituzionale. I mezzi di comunicazione si sforzano, con successo, di farlo apparire dipendente dall’inchiesta lava-jato o da crimini di corruzione. In realtà, fra le tante critiche che si possono fare a Dilma Roussef nessuna coinvolge la questione morale. Dilma è una persona integra e praticamente inattaccabile da quel punto di vista. Il processo di impeachment si baserebbe su certi artifici contabili praticati dal governo, un ritardo nel contabilizzare dei pagamenti alle banche pubbliche al fine di chiudere con meno passivi il bilancio. Un po’ di finanza creativa, insomma, come diremmo noi italiani. Non credo ci sia bisogno di commentare la debolezza giuridica di un’azione finalizzata alla destituzione della prima carica dello stato, basata su pratiche amministrative in un modo o nell’altro diffuse a tutti i livelli istituzionali.

Ma pure nella totale inconsistenza formale, il processo avverrebbe, dalla sua istituzione alla sua conclusione, esclusivamente in ambito parlamentare. In sostanza, è sufficiente, anche senza prove, anche teoricamente nella più totale arbitrarietà, una maggioranza parlamentare qualificata per avviare e portare a conclusione l’impeachment. Come si sarà capito, un meccanismo costituzionale pensato per reagire a gravi crimini delle cariche esecutive viene usato, nell’intenzione dei suoi promotori, come un mezzo per ritirare la fiducia parlamentare al governo in carica. Ma il Brasile è una Repubblica Presidenziale, e la permanenza dell’esecutivo non dipende, secondo la norma costituzionale, dalla fiducia dei due rami del parlamento. Questo intenzionale fraintendimento costituirà, se portato alle ultime conseguenze, secondo l’opinione di una parte crescente dei giuristi, degli intellettuali e dell’opinione pubblica brasiliana, un vero colpo di stato volto al rovesciamento del risultato delle elezioni democratiche del 2014.

La maggioranza silenziosa

In tutto questo turbinio a volte carvevalesco di conflitti politici, giornalistici e giudiziari c’è una voce, difficile da sentire e da interpretare, ma potenzialmente decisiva: quella della maggioranza della popolazione brasiliana. Nelle sconfinate periferie cittadine di questa nazione enorme vivono cittadini, impegnati nel duro mestiere della sopravvivenza. Le loro realtà sono differenziate quanto misconosciute e sottorappresentate nel dibattito pubblico. Questa maggioranza, che non legge giornali, che fatica a esprimersi in autonomia nel dibattito pubblico, i cui figli per la prima volta stanno accedendo in massa all’istruzione e stanno cominciando, in casi ogni giorno più comuni, ad arrivare all’istruzione universitaria, non ha partecipato in questi giorni alle manifestazioni, né dell’una né dell’altra parte. Ha votato però per Lula e poi per Dilma, per quattro volte, dando fiducia a un uomo, Lula, che era incontestabilmente per immagine, linguaggio e biografia, sua espressione. Ha consolidato e sostenuto elettoralmente un ceto politico che ha saputo portare cambiamenti profondi, attraverso politiche di inclusione sociale e razziale e l’indiscutibile centralità data dai governi del PT allo sviluppo dell’istruzione e della sanità pubbliche e gratuite. È sostanzialmente il Brasile che in questi 15 anni si è trasformato, trovando dignità, lavoro meglio retribuito e un miglioramento relativo delle condizioni di vita, il che, ai margini tra miseria e povertà, può significare, semplicemente, vivere e non morire.

E la classe in cui il PT è nato e su cui si sostiene (il PT non è un partito di opinione!), ma, nonostante la presenza di generosi movimento sociali, animati da una combattiva –ma minoritaria- militanza, partecipa poco alla vita politica in prima persona. Determina però fortune e insuccessi elettorali. Lula, interpretandola e impersonandola, ha liberato questa maggioranza dalla funzione conservatrice a cui il clientelismo elettorale l’aveva da sempre confinata. Lula, attenzione, non il PT:Lula.

Dilma e la perdita del consenso

Dilma Roussef ha una biografia totalmente diversa rispetto al suo predecessore. La sua militanza contro la dittatura, che ha conosciuto momenti drammatici, affascina e impressiona la classe media progressista e gli intellettuali. Ma la maggioranza silenziosa l’ha votata per indicazione, e per proteggere i programmi sociali creati o consolidati nei due mandati precedenti. Dilma non ha saputo, e forse non poteva, creare un rapporto diretto e conquistare la fiducia della popolazione. Di Lula non ha né la biografia, né la visione politica. Dopo un primo mandato interlocutorio, alle prime difficoltà nel secondo ha ripiegato su politiche volte all’austerità e a una gestione amministrativa sostanzialmente sterile. La grande, e a volte discutibile, capacità di Lula di cooptare gli avversari nel proprio progetto egemonico si è trasformata nel tentativo di interpretare le politiche della controparte. Non ha conquistato i propri nemici, e ha perso il sostegno del suo popolo. La lava-jato ha sfondato una porta che già era quasi aperta. La crisi economica e il primo reale peggioramento delle condizioni di vita popolari da quasi due decenni hanno praticamente azzerato il suo consenso e la sua capacità di leadership. Il parlamento ha capito l’aria che tira e ha fatto in modo da paralizzare la nave, aspettando il momento opportuno per farla affondare. L’esaltazione rabbiosa espressa dalle manifestazioni della classe media alienata può confondere l’osservatore: quelle persone che nelle strade delle capitali le hanno augurato alternativamente la prigione e la morte non hanno mai cambiato opinione in tutti questi anni: semplicemente si sentono, in questi giorni oscuri per la democrazia brasiliana, autorizzati ad esprimere a voce ben alta tutta la loro barbarie. Ma ciò che ha tolto il terreno sotto i piedi a Dilma Roussef, la debolezza che ne ha da tempo paralizzato l’azione e che nelle intenzioni dei golpisti dovrebbe portare alla fine anticipata del suo mandato, è il movimento silenzioso ma percepibile con cui il suo stesso popolo le ha ritirato la fiducia.

Lula e l’inaspettata risposta della Democrazia brasiliana

Esiste, a questo punto dovrebbe essere chiaro a chi mi ha seguito fino a questo punto, una strategia di forze reazionarie che in Brasile trovano espressione, più che nelle screditate forze politiche della destra parlamentare, nel dominio di mezzi di comunicazione di massa la cui proprietà è concentrata nelle mani di poche potenti famiglie e in una parte della magistratura disposta ad agire in sinergia con esse. Questa strategia è rivolta principalmente ad assicurarsi che, al massimo nel 2018, il ciclo dei governi popolari in Brasile termini, se possibile definitivamente. La lotta alla corruzione in questo contesto non è niente più di una apparenza superficiale che senza ombra di dubbio cadrebbe in secondo piano già a partire dal giorno successivo di un’eventuale caduta dei governi di sinistra.

Senza le possibilità economiche dell’avversario, espressione delle élite del paese, trascinata dalla verticale perdita di consenso del PT e dalla sua scarsa capacità di reazione, tramortita dal coinvolgimento, non universale ma effettivo, in pratiche criminali di gestione del potere, la sinistra politica brasiliana ha in questo momento, in apparenza, una sola carta buona da giocare: la candidatura di Lula nel 2018. Il vecchio leader ha la potenzialità di aggregare intorno a sé, nuovamente, quel blocco sociale che ha garantito, attraverso le luci e le ombre dei successivi governi “petisti”, progressi sociali e civili considerevoli e probabilmente prima impensabili. È assolutamente impossibile infatti, a un osservatore con un minimo non dico di oggettività, ma di senso etico,  negare le enormi trasformazioni avvenute in questi anni nella società brasiliana. In Brasile ogni anno la disuguaglianza è diminuita, mentre nel mondo intero aumentava. Discretamente, senza entrare in confronto diretto con un corpo sociale non sempre aperto a politiche progressiste, i successivi governi hanno approvato misure importantissime dal punto di vista dei diritti civili e hanno condotto, in questo campo almeno con innegabile coerenza, un discorso pubblico sempre volto all’inclusione sociale e al superamento delle molte “eredità maledette” insite nella storia di questo paese. Qui non si discute per esempio, come in Italia, se singoli o coppie omosessuali possano o no adottare figli, perché questo già succede da tempo. Le scuole e le università stanno, con specifici provvedimenti legislativi, garantendo l’accesso a chi ne è sempre metodicamente stato escluso: i neri, gli indios, i poveri. E l’elenco dei provvedimenti potrebbe continuare.

Questa è la ragione per la quale Lula è diventato un obiettivo sensibile del bombardamento mediatico e giudiziario di questi giorni. Il complesso delle forze reazionarie di cui ho parlato ha agito con tutti i mezzi per rendere impossibile la sua candidatura. La magistratura di Curitiba ha commesso un errore madornale e imperdonabile esplicitando la sua disponibilità a collaborare fuori dalle regole democratiche con  l’apparato dei media al fine di ottenere, in definitiva, un’immagine: quella dell’ex-presidente ammanettato, equiparato a un criminale comune. Per distruggere quel legame di identificazione con la maggioranza silenziosa a cui la destra, prigioniera del suo elitismo, è totalmente incapace di rivolgersi in modo propositivo.

Quello che la destra non prevedeva, e che ha certamente impresso una direzione diversa agli eventi, aprendo una lotta aspra e non di breve durata, è stata l’affermazione di un nuovo e intenso movimento democratico, un’aggregazione spontanea di vecchie e nuove forze sociali e intellettuali, che hanno trovato unità di espressione intorno alla difesa dello stato di diritto e dei progressi sociali e civili degli ultimi anni. È qualcosa di nuovo, un movimento che non si identifica con il PT e che ha in sé il potenziale di designare un cammino, oltre il probabile esaurimento del modello di governo rappresentato dall’attuale presidentessa. Una forza che ha ripreso possesso delle strade e delle piazze, che sembravano ormai territorio conquistato da quella parte di classe media egemonizzata da forze reazionarie e potenzialmente violente, e sta esercitando un’effettiva capacità di convinzione e di intervento nel dibattito pubblico. L’importanza di questo rinascimento democratico è enorme, innanzitutto perché ha interrotto un processo che, senza resistenza, pareva destinato a esiti come minimo autoritari, all’umiliazione delle strutture democratiche e all’affermarsi di un revanscismo reazionario o parafascista.

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Qui siamo oggi: in una fase di lotta aperta. Al di là della congiuntura, delle vicende legate alle pretestuosa richiesta di impeachment o alle farsesche denunce contro Lula, al di là della sopravvivenza e della residua capacità di azione politica del governo in carica, due concezioni antitetiche della società brasiliana e del suo futuro sono in campo e stanno combattendo una durissima lotta per conquistare potere e egemonia. Il futuro non lo conosco, è in costruzione, e io non ho il talento dell’aruspice. Ma spero sia chiaro, per chi ha avuto la pazienza di seguirmi, che oltre le ricostruzioni variamente grottesche operate dalla stampa locale e dai mezzi di informazione italiani che la copiano pigramente –o colpevolmente-, la maggiore democrazia dell’america latina è a un bivio. La strada che verrà presa –e le possibilità sono tutte aperte- condizionerà per molto tempo la vita di centinaia di milioni di persone.

La Democrazia in Brasile (Prima parte)

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Lula, il vecchio leader politico, è coinvolto in scandali, rischia la prigione e viene condotto a forza dal giudice per deporre, mentre il governo di Dilma Roussef è travolto dalla corruzione e manifestazioni oceaniche rivelano l’intensità della rabbia popolare contro il Partido dos Trabalhadores.

Questo si è letto in questi giorni sui mezzi di comunicazione italiani che, prima che il terrorismo internazionale tornasse drammaticamente al centro della scena, avevano nuovamente dato una certa attenzione alle vicende brasiliane. Alcuni amici mi hanno chiesto notizie più dettagliate. Hanno fatto bene: i giornali italiani riportano le notizie in modo elementare, si copiano l’uno con l’altro e a livello dell’interpretazione dei fatti si basano sostanzialmente sul senso comune espresso dai maggiori giornali brasiliani. Un errore drammatico, e un cattivo servizio fatto ai lettori, come cercherò di dimostrare. Scrivo anche per riordinare le idee: è un momento estremamente delicato per la vita democratica del paese in cui vivo ormai da quasi 10 anni.

I fatti

Nell’ottobre del 2014 Dilma Roussef, del Partido dos Trabalhadores, vince per la seconda volta le elezioni presidenziali. È la quarta elezione consecutiva vinta dal PT, dopo i due mandati di Luiz Inácio Da Silva, che tutti conoscono come Lula. È una vittoria difficile, al secondo turno e con una maggioranza risicata. Ma è una vittoria, e cinquantaquattro milioni e mezzo di brasiliani votano per Dilma.

Il 2014 è però anche l’anno in cui cominciano due movimenti che complicheranno molto la vita del governo. Il primo è la crisi economica. Dopo un decennio di espansione più o meno continua accompagnata da piena occupazione e aumento dei salari reali –anche la crisi del 2007 non aveva avuto qui effetti travolgenti- negli ultimi due anni il Brasile è entrato in una violenta recessione. Le ragioni sono riconducibili da un lato ad alcuni fattori internazionali –diminuzione generalizzata dei prezzi delle materie prime e  del livello degli investimenti internazionali- da un altro lato a un motivo interno, il secondo movimento di cui stavo parlando: una vasta inchiesta che ha al centro la Petrobras, il gigante energetico, di proprietà pubblica, responsabile da solo di una significativa percentuale degli investimenti realizzati in tutto il paese. L’inchiesta Lava-jato ha rivelato la dipendenza del sistema politico dai finanziamenti illeciti delle grandi imprese, principalmente attraverso gli appalti della Petrobras. Dirigenti politici e manager di altissimo livello delle maggiori imprese brasiliane sono stati accusati e in certi casi già condannati. L’attività economica legata alla Petrobras, snodo fondamentale dell’economia brasiliana, è fortemente colpita dagli effetti indiretti dell’inchiesta.

Il governo Dilma perde drasticamente appoggio popolare; la disoccupazione aumenta, i salari reali diminuiscono. Le ricette del governo per affrontare la situazione sono conservatrici e basate sul riequilibrio dei conti pubblici. Non toccherò i diritti acquisiti nemmeno se la vacca si metterà a tossire, disse Dilma durante la campagna elettorale. Ma la vacca, nel primo anno e mezzo di governo, sembra essere passata da una crisi asmatica all’altra.

Si scatena una violenta campagna dei mezzi di comunicazione brasiliani contro il governo, accusato inizialmente di incompetenza e poi, con l’espansione dell’inchiesta Lava-jato, di corruzione. L’opposizione parlamentare ne approfitta per tentare di instaurare un processo che porti all’Impeachment della presidentessa. La tensione politico-giudiziaria sale, fino all’ultimo mese di marzo, in cui gli eventi si sono succeduti col ritmo di una telenovela.

Il 4 marzo il giudice Sergio Moro, capo del pool di magistrati di Curitiba che gestisce l’operazione Lava-jato, ordina la conduzione forzata dell’ex-presidente Lula all’aeroporto di São Paulo per deporre su alcuni aspetti dell’inchiesta. In pratica, la polizia si presenta a casa di Lula all’alba per prenderlo; i mezzi di comunicazione vengono preventivamente informati, in modo da trasformare la deposizione di Lula in un evento mediatico seguito in diretta dai principali canali televisivi. Lula al momento di questa operazione non è formalmente accusato di niente. La sua testimonianza non era stata richiesta. Lula dichiara, fra altre cose, che se fosse stato chiamato a deporre ci sarebbe andato spontaneamente.

Il 13 marzo in tutto il paese si svolgono grandi manifestazioni che chiedono il cambio di governo, attraverso la rinuncia o l’Impeachment di Dilma, e, identificando la corruzione con il Partido dos Trabalhadores, esaltano il giudice Sergio Moro come una specie di eroe nazionale. La principale manifestazione avviene a São Paulo e conta con la partecipazione di almeno mezzo milione di persone. La folla chiede la prigione per Lula.

Nuove delações premiadas, testimonianze di persone coinvolte nell’inchiesta che ottengono vari privilegi e sconti di pena all’indicare almeno un altro colpevole, sembrano poter coinvolgere Lula. L’attenzione della stampa, e, sembra, degli stessi inquirenti è rivolta ossessivamente alla possibilità di accusare esplicitamente il leader del PT.

Il 16 marzo la presidentessa Dilma annuncia un rimpasto ministeriale che comprende l’offerta a Lula di dirigere la Casa civil. Si tratta di un ruolo di reale direzione politica. Come ministro, Lula vedrebbe la sua posizione sottratta alle cure del pool  di Curitiba: per legge, i ministri del governo devono essere giudicati dal Supremo Tribunal Federal. Immediatamente, il giudice Sergio Moro rende pubbliche delle intercettazioni telefoniche realizzate poche ore prima, che secondo l’interpretazione, dubbia ma unanime, dei grandi mezzi di comunicazione brasiliani rivelerebbero che Dilma stava offrendo il ministero a Lula per proteggerlo da un imminente ordine di incarcerazione preventiva.

Si scatena una vera guerra giudiziaria, con decisioni e controdecisioni di vari livelli degli organi periferici e centrali della magistratura brasiliana, divisa tra chi tenta di smentire e chi lotta per confermare l’investitura di Lula, e soprattutto la giurisdizione dei magistrati di Curitiba per giudicarlo dei reati di cui potrebbe essere in futuro accusato. Ricordiamo infatti che al momento non esistono accuse formali contro Lula. In tutto il Brasile si sviluppa però, imprevedibilmente, un forte movimento democratico che esige il rispetto delle regole dello stato di diritto e riafferma la legittimità del governo di Dilma, che ha vinto regolarmente le elezioni. La parola d’ordine è “não vai ter golpe”, non ci sarà nessun golpe. Il 18 marzo le strade di tutti gli stati della federazione vedono svolgersi imponenti manifestazioni in difesa della democrazia e della legittimità del governo. La partecipazione non è forse tanto ampia come quella delle manifestazioni, di segno opposto, di cinque giorni prima, ma è significativa e, come vedremo, di grande valore politico. Contemporaneamente in parlamento si installa la commissione che dovrà decidere se aprire o no il processo di impeachment di Dilma Roussef. Nei giorni seguenti, uno dei maggiori partiti brasiliani che sostiene il governo, il PMDB, ritira il suo sostegno parlamentare al governo. Alcuni dei suoi membri che partecipavano al governo vengono sostituiti.

Cosa sta succedendo? Una corretta interpretazione dei fatti che ho raccontato richiede un approfondimento su alcuni aspetti della realtà del Brasile, di cui certamente chi riferisce in modo superficiale le notizie di qui non tiene assolutamente conto; devo chiedervi un po’ di pazienza. Dobbiamo capire quali sono le forze in gioco. Alla fine si capirà, spero, a quali pericolose tensioni è sottoposta in questi giorni la giovane democrazia brasiliana.

La cosiddetta “classe media”

Esiste una peculiare formazione sociale in Brasile costituita da una fascia di cittadini delle aree urbane di rendita medio-alta. Si tratta, nelle città più ricche, del 20% della popolazione. I loro guadagni e il tenore di vita sono paragonabili generalmente a quelli di una famiglia media italiana, ma la loro visione delle cose è fortemente determinata da caratteristiche che per chi non conosce direttamente questa realtà risultano quasi incomprensibili. Da decenni questi cittadini vivono una vita separata dal resto della comunità. Le loro case e appartamenti si trovano all’interno di ‘complessi residenziali’, protetti da alte mura e sorvegliati da funzionari, eventualmente armati. Spesso, all’interno di questi condominios si trovano palestre, parchi, piscine e luoghi di incontro. I loro figli frequentano esclusivamente scuole private, ovviamente a pagamento. Non usano, se non costretti a volte da malattie gravi, le strutture sanitarie pubbliche. Fanno la spesa e i loro acquisti o nei piccoli supermercati del loro quartiere, inaccessibili di fatto ai non residenti, o nei grandi centri commerciali, gli shopping, dall’apparenza lussuosa, costruiti sul modello dei mall statunitensi e dove i ragazzi delle classi popolari vanno a volte a passare i pomeriggi del fine settimana, mal tollerati, sorvegliati a vista da sospettosi agenti di sicurezza.

Questa classe domina, a un certo livello, il dibattito pubblico in Brasile. I loro membri costituiscono la quasi totalità dei lettori dei quotidiani. Sono la principale classe consumatrice (un tempo erano l’unica) e quasi tutti i flussi comunicativi di massa sono generati all’interno di questa classe. Costituiscono, in un certo modo, l’opinione pubblica brasiliana.

Peccato, però, che lo stile di vita, la totale separazione, l’Apartheid dorato in cui la classe media vive generi nei suoi membri un grado di alienazione estremo nei confronti della realtà del paese, e della realtà tout court. La classe media si considera maggioranza, anzi, totalità. Letteralmente, non sa dell’esistenza dell’80% della popolazione brasiliana. Così, non riesce a capire l’utilità per esempio di programmi sociali di grande successo, come la bolsa família, che hanno alleviato in questi anni le sofferenze di masse sterminate di cittadini di uno dei paesi con la più ingiusta e criminale distribuzione di reddito e di ricchezza del mondo. Risulta così incomprensibile il valore delle politiche che hanno eliminato la fame come causa di morte in Brasile. I membri della classe media non possono  capacitarsi del risultato delle elezioni, che per quattro volte consecutive hanno dato la Presidenza al PT. Per loro, è come se il giusto risultato elettorale fosse stato rovesciato da una legione di fantasmi.

esercito morti due

L’odio che li caratterizza e li pervade prende origine da un brutale pregiudizio antipopolare, un viscerale razzismo sociale che si maschera dietro il ripudio della corruzione e si sublima in un’ostilità sanguinaria a Dilma, a Lula e al Partido dos Trabalhadores.

La violenza anti-PT e i mezzi di informazione

Questa classe media alienata è la protagonista delle manifestazioni del 13 marzo. È lei, sostanzialmente, che è scesa in piazza, sostenuta, incoraggiata, organizzata prima ed esaltata e glorificata poi dai grandi mezzi di informazione e dalla costellazione mediatica guidata dalla Rete Globo. La Globo è la televisione privata che domina l’audience e la vita mediatica del Brasile. Gestita dalla famiglia Marinho, la più ricca del Brasile, ha appoggiato senza esitazioni, per venti anni, la dittatura militare, continuando dopo il processo di redemocratizzazione a occupare uno spazio centrale nella formazione dell’immaginario pubblico del paese. È violentemente avversa al governo in carica, e agisce come il principale partito politico della destra brasiliana. Dispone di un’organizzazione moderna e di elevato livello tecnico. Trasmette tutti i più grandi eventi sportivi, produce gli spettacoli di intrattenimento di maggior successo. È una presenza quotidiana e costante nella vita delle famiglie brasiliane. In questo periodo di grave debolezza politica di Dilma e soprattutto del PT sta sentendo l’odore del sangue, e agisce con feroce determinazione, utilizzando qualsiasi mezzo a disposizione e tutta la sua enorme capacità di interazione con la popolazione per ottenere due obiettivi: aizzare il suo pubblico eletto, la classe media urbana alienata, esaltandola e alimentando senza restrizioni il fuoco dell’odio anti-petista, usando per questo la leva della apparentemente neutrale lotta alla corruzione; e dare una posizione egemonica alle sue convinzioni, convincendo la maggioranza silenziosa della popolazione che l’unico vero nemico nazionale oggi è la corruzione, impersonata e incarnata dal governo federale e dal Partido dos Trabalhadores.

Il primo obiettivo è stato perfettamente raggiunto. Una rilevante parte della classe media urbana vive oggi in uno stato di idrofobia antipetista. Vestirsi di rosso oggi in certi contesti è pericoloso. Ogni giorno si verificano episodi di discriminazione e intolleranza. Lo scrittore Luis Fernando Verissimo, commentando il clima che si è imposto nel paese, ha detto che la sensazione è di star aspettando il primo cadavere su cui piangere.

Riporto, tra decine e decine di altri, due episodi significativi (ma non i più gravi)  per capire l’aria che tira.

Una coppia di ragazzi tenta di attraversare l’Avenida Paulista durante un presidio contro il governo. Lei ha una bicicletta rossa.

Una pediatra si rifiuta di curare un bambino perché la madre è una consigliera comunale del PT

pediatra pt

(1-continua)

Le tette di Freud

In un raro momento di solitudine, mentre mangiavo una bella fetta di un clamoroso troiaio di pizza congelata – molto buona- nel corso del flusso vagante dei pensieri mi sono improvvisamente reso conto di una cosa: non mi ricordavo più la differenza tra la prima e la seconda topica freudiana. Ci ho pensato meglio, mi sono strizzato le cervella. Com’era?  In una c’era l’ES, era la seconda, ma nella prima? E il superio dov’era, cosa faceva? Attonito. Sono rimasto attonito, e perplesso. Era il mio pane quotidiano, una quindicina d’anni fa. Stessa perplessità di quando, pochi giorni fa, non mi ricordavo come si diceva in italiano “condicionador”: quella roba che si mette sui capelli dopo lo sciampo per pettinarli senza scrofolarsi il cuoio capelluto. Abitando il mio stupore, mi sono poco dopo reso conto, però, che mi ricordo perfettamente, come se fosse qui davanti alle mie mani, della sussultoria, millimetrica espansione respiratoria del seno della più bella delle mie compagne di classe di terza media, sotto un delizioso maglioncino anni ’80 di lana azzurra sfilacciata, di quelli che se li guardavi in controluce sembrava che apparisse l’aura delle fate. Mi sono subito sentito meglio (apparte la fitta di nostalgico, struggente, inappagato  desiderio). La mente umana. Ah, la mente umana sa quello che fa!

Figlio di buona donna

Avrei sempre voglia di parlare di politica su questo blog, ma mi manca il tempo in realtà di parlare di qualsiasi cosa. Ora aggiungere un commento su Renzi proprio in questi giorni sarebbe  come versare un bicchier d’acqua nel mare. I mezzi di informazione italiani sono abituati a parlare sempre tutti della stessa cosa, e adesso parlano di lui. Quindi parlerò di mio padre. Il mio papà buonanima, pensavo l’altro giorno, avrebbe probabilmente definito Matteo Renzi un ‘figlio di buona donna’ (credevate davvero che non parlassi di lui? Fregàti!) Oggi nessuno definirebbe Renzi un figlio di buona donna, per due ragioni: una è che ai tempi nostri si è diffusa la consapevolezza di come non sia giusto usare le ‘buone donne’ e il loro mestiere a fini dispregiativi; l’altra è che non va di moda essere tanto indiretti, e nessuno chiamerebbe buona donna una meretrice. Manca la terza ragione, che mi piacerebbe di poter includere nell’enumerazione: che se nessuno chiama il soggetto in questione nel modo suddetto è perché  lui figlio di buona donna non lo è; bene, egli lo è, senza dubbio, e la mia tesi è che questo sia politicamente rilevante.

Renzi e letta

Velocizziamo il raziocinio: ciò che il Nostro ha fatto di scorretto è stato fare le scarpe (anche oggi mi piace essere desueto) al suo collega di partito Enrico Letta. Possiamo fare l’anatomia o la storia del gesto, ma non c’è dubbio razionale possibile: eticamente portare repentinamente la sostituzione di Letta alla direzione nazionale del PD è stato un atto basso e scorretto, una vigliaccata, non può essere definita diversamente. Partiamo da questo, se non siete d’accordo su questo siete dei disonesti o degli sciocchi,  per favore andate via dal mio blog. Il tema del mio intervento è: se questo sia un fatto importante o no. In altre fasi della vita e forse in altre fasi storiche, se vogliamo scomodare il termine storia per parlare di vicende irrilevanti tipo quelle della politica italiana, non avrei avuto dubbi sul no. La politica è piena di pugnalate e scorrettezze, e molte volte si producono conseguenze positive con mezzi sordidi e non sono esattamente il primo a dirlo. Va bene. Ma Renzi è o si pone come qualcosa di diverso da quello a cui siamo abituati, per prima cosa per l’estrema personalizzazione. Evito analisi che altri hanno fatto meglio e copio le conclusioni: Matteo Renzi è la sua proposta politica. Ciò che vuole fare coincide con ciò che lui è. Non esiste altra ragione, fra l’altro, che giustifichi lo straordinario appoggio, certo condizionato e pieno di distinguo, ma se no non saremmo italiani, che sta ricevendo dai più diversi commentatori. Non quello che vuole fare, che come minimo non è chiaro, ma quello che è. Facciamolo segretario perché vinceremo solo mettendolo lì, e da ora in poi stiamo zitti e nascosti per farlo vedere meglio. Facciamolo (lasciamo che si faccia, da solo) Presidente perché solo lui può interpretare la sua proposta politica (che non conosciamo, ma qualsiasi cosa voglia fare, certo la può fare solo lui).

Non voglio saltare alle conclusioni chiamando tutto questo un delirio collettivo, come potrei. Ma parliamo invece di leader, e di leadership, è di questo che voglio parlare. Non è una parolaccia, anche se da noi Mussolini e il fascismo ci hanno praticamente impedito di inserirla nel vocabolario politico e di trarne le conseguenze. Non ho niente in contrario, oggi, ad ammettere la possibilità che una proposta politica si incarni e sia rappresentata nella coscienza collettiva da una persona sola. Il carattere di inganno e di illusione ovviamente connaturato a un processo simile non mi scandalizza e in certi casi può essere funzionale a cambiamenti progressivi.

Non è il primo personalismo della politica italiana degli ultimi anni, si dirà, ma Berlusconi approfittava del suo potere e delle sue abnormi possibilità di condizionamento del dibattito pubblico, quindi in un certo senso giocava sporco. Renzi invece incarna in modo molto più autentico l’idea del leader. Il potere che si sta costruendo è basato sulla sua persona e non su altro.

Ora, un leader deve essere buono. Come gran parte degli italiani e tutti quelli della mia parte politica irridevo l’abitudine statunitense di andare a rufolare nel passato e nell’intimità degli uomini politici, alla ricerca della piccola immoralità che li avrebbe eventualmente rovinati. Abbiamo tutti sempre pensato che privato e pubblico vivono su sfere sostanzialmente separate e che quel che contavano erano le idee e le grandi scelte. Lo penso ancora, ovviamente, ma Renzi invece non lo pensa, dal momento che pone se stesso innanzi alle sue stesse idee, tanto che  giustifica di fatto con l’inevitabilità della sua ascesa la carognata che ha fatto al suo collega di partito. Se sono un semplice rappresentante del mio popolo devo avere buone idee, essere competente, ecc. Ma se devo essere ad un tempo il simbolo e il principale attore dell’idea politica che rappresento, questo non è più sufficiente: devo in questo caso essere moralmente e eticamente un esempio inattaccabile, totalmente differente, intangibile. Non posso tradire la moglie, né gettare le cartacce per terra; devo farmi fare lo scontrino ogni volta che prendo il caffè. Devo aver costruito con la massima cura la mia biografia; non posso fare passi falsi. Non posso, per entrare sulla scena al momento che reputo giusto, essere un figlio di buona donna con il mio teoricamente amico e collega, e levargli la sedia di sotto mentre presenta ufficialmente il programma del governo che sto impallinando alle spalle. Non posso.

Per questo Renzi comincia smentendo se stesso. Non ha capito a fondo quello che sta facendo, ha reso fragile il piedistallo su cui sta salendo, e probabilmente a un certo punto ne pagherà politicamente le conseguenze; ma soprattutto rivela agli sguardi attenti cosa ci può riservare il futuro. Ci stiamo affidando mani e piedi a uno che nell’atto inaugurale della sua presidenza, quello che l’ha resa possibile, ha dimostrato che non ci si può fidare di lui. Buona fortuna (a noi, ne abbiamo bisogno).

La vita di Adele (sono stato al cinema di nuovo)

Sono andato al cinema. Sembra una notizia da poco, ma non lo è. Avete figli piccoli? Almeno un paio? I vostri cinemasuoceri, genitori, fratelli, parenti stretti abitano a  più di 700 chilometri da voi? E voi abitate a 30 chilometri di distanza dalla prima sala disponibile? Va bene, non saranno molti a rispondere sì a tutte queste domande. Ma quelli che lo hanno fatto capiranno perché nonostante il mio amore per il cinema non ci andassi dal novembre del 2011. Allineamenti astrali mistici e rari si sono verificati ieri, e io e Veri abbiamo colto la palla al balzo, abbiamo abbandonato i nostri autonomi lavori al loro destino e siamo andati ad approfittare della “Segundaça”, promozione straordinaria del lunedì al Centro Commerciale Iguatemì, centro di Florianópolis. Di film plausibili ce n’erano due: lo hobbit (ma perché lo hobbit?  Che grammatici traducono i titoli dall’inglese? Per dormire fuori casa voi scegliete lo hotel migliore? E cercate forse uno hosting efficiente per ospitare il vostro sito internet?) e La vita di Adele. A mia moglie non piacciono le storie fantasy. Siamo andati a vedere La vie d’Adèle, chapitre 1 & 2. Come quasi sempre in Brasile, il film è in lingua originale con sottotitoli. Molto meglio, anche perché in un’altra vita capivo il francese.

Bisogna partite dal sesso, ma non per il film, che parla di tutt’altro, ma per commentare i risultati della ricerca che ho fatto su internet al ritorno dal film, per sapere qualcosa di più su quello che avevo visto. Io non so davvero a volte cosa c’è nella testa delle persone. 3 ore di sesso bollente. Scandaloso e straziante. Il massimo è stato uno che ha scritto che alla fine le scene di sesso erano deludenti. E certo, se andavi al cinema aspettando 3 ore di sesso bollente quei banali sette minuti (non li ho misurati io, ma un altro recensore che, se non altro, in mano teneva solo il cronometro) devono per forza essere stati una delusione.  Bisogna dire che ci sono anche molti che sono riusciti a mantenere l’equilibrio persino davanti al fatto che nel film si vedono nei dettagli i corpi nudi di ben due giovani ragazze, un evento che ai giorni nostri è senza dubbio estremamente raro e molto molto perturbante.

Adele e EmmaTornando al film, è bello e vale la pena. La storia è semplice, Adèle è una studentessa liceale, ci viene presentatala sua casa, la famiglia e i compagni di classe, quelli simpatici e quelli antipatici. Breve storia con un ragazzo carino e divertente, ma il contatto degli elementi non genera reazioni chimiche di rilievo. La scoperta successiva dell’attrazione per le donne. Lo sguardo fatale e l’innamoramento con la ragazza dagli occhi –e i capelli- blu, energica, di personalità, una che per gli amici di Adèle non è proprio una buona compagnia. Già mi fermo, perché mi accorgo che del film è difficile fare una sintesi, perché tutto quello che succede è sempre semplicemente mostrato. I dialoghi non aiutano. Nessuno dei protagonisti parla mai di sé o di quello che sta sentendo. Se vuoi capire i processi interni, devi guardare cosa succede esternamente, perché non altro ti viene proposto. Per quello che Abdellatif Kechiche (fatto copia incolla, chiaramente), il regista del film, si prende tutto questo tempo: serve per capire, dai dettagli, dai comportamenti, dalle parole certo, ma in modo laterale, non diretto, cosa sta avvenendo davvero.

E dunque, l’amore di Adèle e Emma è descritto, nella sua passionalità, da questa scena fiume, che in effetti va commentata perché anche durante il film mi chiedevo quale fosse la sua necessità. E credo sia questa: il racconto di una storia d’amore come la loro sarebbe banale se non si capisse la profondità del legame che si crea fra le due, e quanto questa profondità si identifichi con la fusione, chimica, meccanica o elettromagnetica che sia, dei corpi delle protagoniste. Soprattutto per quel che riguarda Adèle. Precipitata per pura legge gravitazionale in un abisso, erotico, affronterà difficoltà immani per uscirne, quando la storia banalmente finirà. E siccome l’autore si è tolto la possibilità di descrivere attraverso concetti, o abbellimenti stilistici, o musicalità evocative, e si concede solo le risorse della descrizione naturalista, prende il tempo che ritiene necessario per mostrare il peso che questo punto ha nella vicenda. Che ci riesca o no non lo so, lo diranno quelli che ne capiscono.

Il film è uno di quelli che continui a pensarci il giorno dopo e a trovare sempre nuove cose. I particolari sono quasi sempre significativi, come nella vita, niente è lasciato al caso. Ci sono vari temi: prometto che non li dirò tutti. Uno è il sacrificio di Adèle, che vediamo una sera sgobbare per fare da mangiare a tutto il circolo degli eruditi amici dell’amica, e fa i rustici spaghetti al ragù, grande orgoglio del babbo. Ecco che in un colpo solo sappiamo che ad Adèle piace il papà, che pure nel film si vede bene che non è un fulmine di guerra, che le piace servire gli altri, soffrire (un po’ di masochismo i francesi non se lo fanno mancare mai)  e che è fuori luogo in mezzo a gente che manco si offre di aiutarla a lavare i piatti, e che forse avrebbe preferito mangiare un paté de quelque chose. Questo era solo un esempio di come in questo film il particolare parli sempre del generale. Altro tema, evidente, la bocca di Adèle, quando mangia, quando dorme, quando bacia. La bocca della bulimia di Adèle, che, esattamente, non sa fermarsi quando dovrebbe, e che nella discrasia fra la sua voracità e una certa, superficiale e facilmente smascherabile, impassibilità dei modi trova certo una delle ragioni del suo fascino.

Le ragazze crescono, Adèle diventa maestra di asilo e le piace molto, Emma prende il cammino dell’arte (non posso farne a meno: un blogger scrive che lei è un’artista contemporanea. Del resto anche Fidia, mentre scolpiva la statua di Atena nel Partenone,  era considerato molto contemporaneo dai greci che passavano da quelle parti durante le loro passeggiate pomeridiane), frequenta come dicevamo gente colta e cambia taglio e colore di capelli. Adèle non ha molto a che vedere con la tribù che Emma le presenta, e Emma non ha esattamente quel tipo di flessibilità che favorisce la conciliazione fra diversi. Alla fine in un accesso endogamico Emma mostra interesse per una donna della sua cricca, e Adèle va a letto (adoro usare espressioni desuete) con un collega dell’asilo. Quest’ultima infrazione non è tollerata dall’ex-azzurrina, che manda via di casa la concubina a male parole. Adèle mostra di non sopportare la separazione, e fin dalla drammatica scena della rottura costeggia il cammino dell’umiliazione pur di tornare dov’era, un cammino che non percorre davvero a fondo solo perché alla fine Emma, che davvero non ne vuole più sapere, ed è una che ha le idee chiare sulle cose, non gliene lascia realmente la possibilità. Nelle scene finali Adèle va a visitare la mostra dell’ex amante, tre anni dopo la separazione, e pare si possa leggere una possibilità per lei di emanciparsi dalla dolorosa dipendenza in cui era caduta, ma il finale è aperto: dovremo aspettare les chapitres 3 & 4.

Una parola sulle attrici, visto che, come Adèle, ormai non sono riuscito a fermarmi quando era il caso di farlo; Léa Seydoux è un’attrice, e si vede. Ha fatto vari film importanti che se continuo ad andare al cinema ogni anno e mezzo difficilmente vedrò. Adèle Exarchopoulos è Adèle, e il fatto che il regista abbia volutamente chiamato la protagonista col nome reale della sua interprete  non è secondo me un grandissimo attestato di stima: significa che, almeno nelle intenzioni autorali, è stata chiamata a fare se stessa. Però l’ha fatto benissimo. Le si crede, come si crede a tutto l’impianto del film. All’hobbit non l’avrei preso tanto sul serio, su. Bravi tutti. Clap clap.

Subito prima di dormire

 

– Papà, lo sai perché a volte voglio compagnia?Notturno-lago-Alimini-800

– Perché?

– Perché di notte succede che sento nostalgia di te.

– Che tipo di nostalgia?

– Una nostalgia che sembra quasi una paura. Ma davvero è nostalgia.

– Figlia, devi sempre pensare che la notte finirà.

– Perché?

– Perché è come una barca che attraversa il lago.

– Come?

– La notte è come il lago. Ma sull’altra riva troverai sempre papà e mamma, lì ad aspettarti. Capito?

– Sì.

Cosa sta succedendo in Brasile

Dc425Cosa sta succedendo realmente in Brasile? La cosa più ovvia, quando si vede un avvenimento da lontano, è interpretare i fatti con le logiche di casa nostra. Questo è naturale, il nostro punto di riferimento non può essere che la realtà che conosciamo. Le informazioni corrono, ma non necessariamente sono complete o credibili. I mezzi di comunicazione italiani, in particolare, hanno l’abitudine di distorcere i fatti secondo le esigenze del momento. L’oggettività, oltre a non essere un dato di fatto, non pare nemmeno un obiettivo. Niente di più facile, dunque, della semplificazione: il Brasile protesta contro la Coppa del Mondo.
Devo essere chiaro: cosa stia succedendo esattamente in Brasile non lo so nemmeno io che ci abito. Stanno succedendo molte cose, in città distanti quanto Roma da Mosca, e spesso in contesti molto differenti l’uno dall’altro. Ma, come vari amici italiani mi chiedono, tenterò almeno di dare qualche suggerimento per calibrare la nostra interpretazione sulla realtà di qui.
Prima cosa: la rivoluzione francese è successa molto lontano, e da queste parti non se ne è parlato molto. Il popolo brasiliano non è abituato a scendere in piazza. Nelle botteghe dei barbieri in Italia gli uomini parlavano di donne, calcio e politica: qui il terzo argomento è generalmente ignorato. Pesano ragioni storiche profonde su questo, una struttura sociale che dai tempi della schiavitù, che qui è finita molto tardi, considera la maggioranza della popolazione un peso morto che non è necessario includere nella vita sociale, alla quale non è richiesto di esprimere opinioni e soprattutto alla quale non sono forniti nemmeno in piccola misura gli elementi critici e la conoscenza di base necessaria per formarsene una. Venti anni di dittatura, che hanno messo la sordina non solo alla contestazione ma alla circolazione delle idee, proprio mentre nel mondo occidentale l’immaginario collettivo e la coscienza politica si formavano su utopie rivoluzionarie, battaglie pacifiste, critiche coscienti ai modelli sociali e comportamentali esistenti, non hanno evidentemente aiutato a formare una società civile partecipe dal punto di vista politico. Ma come, diranno alcuni miei amici, e i movimenti sociali, i sem terra, i metallurgici guidati da Lula, Porto Alegre, non sono nati lì? È vero, ma parliamo sempre di minoranze combattive e molte volte fortemente innovatrici nel pensiero e nell’azione, ma incapaci di suscitare un dibattito ampio e generale sulle loro istanze. Ovviamente non per colpa loro. È vero anche che da 12 anni i brasiliani, principalmente i più poveri, eleggono presidenti del Partido dos Trabalhadores; il PT è riuscito a esprimere dei leader in grado di suscitare l’identificazione del popolo, che li ha delegati a costruire governi capaci di trasferire una parte del reddito nazionale in politiche di lotta alla fame e alla povertà estrema (la famosa “Bolsa Família”, detestata dalle classi medie conservatrici che la considerano una elemosina e una corruzione del popolo a fini elettorali) e al miglioramento di strutture pubbliche di salute e educazione praticamente inesistenti fino a pochi anni fa. Ma appunto, si tratta di una delega, l’identificazione politica è molto fragile e la partecipazione diretta scarsa, anche per ragioni pratiche: la maggioranza degli elettori della sinistra dedica tutte le proprie energie e il proprio tempo alla lotta per la sopravvivenza. Non ha risorse da dedicare alla vita pubblica, e non ha ricevuto gli strumenti critici elementari indispensabili all’interpretazione di una realtà peraltro molte volte durissima e pericolosa.

Dc423Adesso i fatti, in breve. Oggi è il 24 giugno. Due settimane fa una manifestazione di circa 5000 persone, convocata a São Paulo per protestare contro un aumento di 20 centesimi di Real del costo del biglietto dell’autobus (circa 8 centesimi di euro), viene duramente repressa dalla polizia militare, un’istituzione ancora impregnata dello spirito della dittatura, che con somma genialità arresta varie persone per possesso illegale di aceto (serve per limitare gli effetti dei gas lacrimogeni) e prende a pallinate di gomma (fanno parecchio male) manifestanti inermi tra cui –genialità al quadrato- vari giornalisti delle più importanti reti e giornali nazionali. Le reti sociali diffondono immagini, video e testimonianze, i giornali cessano di parlare di vandali come avevano fatto fino al giorno precedente, la solidarietà cresce. Le manifestazioni seguenti cominciano a riunire un numero di persone che non si vedeva nelle piazze dai tempi della richiesta di impeachment al presidente Collor, nel 1992. Prima 200 000, poi un milione nelle piazze di tutto il Brasile. Alcune di queste manifestazioni avvengono nelle città che ospitano le partite della Coppa delle Confederazioni, e questo è tutto quello che ha visto la stampa italiana. Facciamo le proporzioni. Anche se invece di un milione fossero due, per malafede di chi fa il conto, sarebbe come se in tutte le città italiane seicentomila persone scendessero in piazza (il Brasile ha 200 milioni di abitanti, e molto più giovani di noi). Non sono molti in termini assoluti, ma sono un’enormità per un paese in cui, ripeto, la gente NON si mobilita. Non esistono scioperi generali da queste parti, le lotte sindacali sono spesso corporative, la maggioranza della popolazione non si esprime politicamente e la parte che lo fa è una variegata élite urbana megaprivilegiata e conseguentemente conservatrice, piena di pregiudizi, principalmente verso le classi popolari, considerate alla stregua di elementi subumani, e anzi, più semplicemente, non considerate. I grandi mezzi di comunicazione assumono pienamente il punto di vista di questa élite.

Ma allora, che cosa sta succedendo in Brasile?

Esprimo la mia interpretazione, in breve.
Dc424Da quando il PT è al governo sono avvenuti cambiamenti sociali importanti, alcuni causati da dinamiche interne e altri dall’azione di governo. Circa 30 milioni di persone hanno modificato, in meglio, la loro condizione sociale. Sostanzialmente, hanno cominciato a consumare beni non di prima necessità. Anche le strutture pubbliche sono cresciute. Più o meno l’80 % della popolazione usa scuole e sanità pubbliche, che nelle grandi città assomigliano a gironi infernali, ma che per quanto possa sembrare incredibile, 10 anni fa erano molto peggio di come sono adesso. Inoltre crescono le possibilità di accesso all’informazione, internet è nel 40% delle abitazioni (è molto rispetto a 10 anni fa). Ritengo che la portata delle manifestazioni popolari di questi giorni rifletta, in parte, questo fenomeno: l’accesso alla sfera pubblica di una parte significativa della società che ne era fino ad oggi completamente esclusa.
Le manifestazioni sono state convocate inizialmente con una chiara piattaforma di sinistra, basata sulla richiesta di estensione e di tendenziale gratuità dei servizi pubblici (qui scuola, ospedali e università pubblici sono totalmente a carico della fiscalità generale). Per capire l’importanza della rivendicazione sulle condizioni di trasporto pubblico bisogna sapere che a São Paulo, a causa della perversa struttura urbanistica, masse immense di persone ogni giorno si muovono dalla periferia verso le zone centrali o industriali della città, passando sui mezzi pubblici un tempo equivalente alla metà della loro giornata lavorativa e spendendo per questo una quota corrispondente molte volte al 20% del loro salario.
Dc431Con l’espansione del movimento e l’appoggio, non disinteressato, dei mezzi di informazione, la protesta ha però cambiato segno. Le classi agiate urbane, che hanno ovviamente una capacità di comunicazione e di condizionamento del dibattito infinitamente maggiore, sono entrate nella partita e hanno di fatto imposto un radicale cambiamento di quella che noi chiameremmo la piattaforma delle manifestazioni. Una volta ottenuto il ritiro degli aumenti del prezzo del biglietto, le rivendicazioni sociali sono scomparse o sono state emarginate, per essere sostituite da generiche proteste contro la ‘corruzione’ che effettivamente hanno sempre come obiettivo il governo e il PT, accusati di scarsa eticità e malgoverno ma in realtà come detto odiati principalmente a causa delle loro politiche sociali. Le ultime manifestazioni, imponenti nel numero, hanno preso un aspetto più carnevalesco, si sono annacquate nei contenuti e in particolare a São Paulo, città fondamentale nel panorama politico brasiliano, hanno assunto delle tonalità preoccupanti con atti di ostilità espliciti verso chi esponeva simboli della sinistra organizzata –alcune bandiere del PT sono state sottratte ai manifestanti e bruciate.
Sì, ma la Coppa del Mondo? In questo panorama costituisce in realtà solo uno degli elementi della protesta. Si sono spese delle cifre indecorose, il tetto del nuovo Maracanà è costato da solo quanto tutto lo stadio della Juventus; molte strutture sono completamente inutili fuori dal contesto della Coppa, le espropriazioni sono state violente e ingiuste. Ci sono molte ragioni per essere contrari, ma come si può immaginare qualsiasi manifestazione vicina a uno stadio assume un’importanza e guadagna una visibilità sproporzionata sui mezzi di comunicazione internazionali. Dimenticando le ragioni e le contraddizioni di un movimento che ha, comunque lo si interpreti e qualsiasi sarà la sua evoluzione, una portata ben più generale.
Dc427Dire cosa succederà in Brasile è naturalmente ancora più difficile che dire cosa sta succedendo. Però si può avere un’idea delle forze in campo. Ci sono delle minoranze politicizzate, molto piccole e attualmente demoralizzate, che stanno tentando di organizzare manifestazioni direttamente nelle periferie povere per rispondere alle ultime strumentalizzazioni dei grandi raduni di massa. Ci sono, appunto, grandi masse, principalmente costituite da giovani, quasi totalmente depoliticizzati, che sono scesi in piazza per la prima volta nella loro vita in questi giorni manifestando posizioni ondivaghe, facilmente strumentalizzabili, a rischio in parte di esprimersi in modo violento e pre-politico. C’è poi una minoranza determinata e cosciente, schiettamente reazionaria, che sta partecipando alle manifestazioni utilizzando tutti i molti mezzi a sua disposizione per apparire, all’occhio dei mass media tanto nazionali quanto internazionali, come l’autentica faccia del “movimento”. Quindi: quello che leggerete sui giornali è la posizione di questa relativamente ampia élite urbana, che protesterà contro la corruzione del governo, la spesa pubblica per l’organizzazione della Coppa, tutto condito in una salsa patriottica e individualista. Dietro a questo c’è , di realmente positivo, un risveglio inaspettato del dibattito pubblico, che ha raggiunto una fascia senz’altro maggiore –per quanto ancora minoritaria- della popolazione e che forse potrà costituire il seme, fragile ma importantissimo, del futuro sorgere di una autentica e più diffusa coscienza politica.

Mennea

Guardo le immagini, bellissime e emozionanti, della vittoria di Mennea a Mosca nel 1980. Venti secondi di concentrato epico, e etico; ovvero, di come l’impossibile diventa realtà, di un recupero che pare andare contro alle leggi della fisica e del buonsenso, possibile evidentemente solo di fronte alla cocciutaggine insensata di un ometto che dopo i primi cento metri si rifiuta, come un bambino testardo, di riconoscere quello che l’assoluta evidenza delle cose e dei metri di distacco mostrava, senza lasciare spazio a discussioni: che aveva perso.
Poi però c’è un altro particolare che richiama la mia attenzione. Non è un particolare: è qualcosa di strano. Lo stadio. Pieno, festante, urlante. Ma perché mi sembra un grande campo di allenamento, perché non mi sembra proprio ‘vero’? E come sono vestiti quegli otto che corrono? Qual è la ragione di questa curiosa sensazione di irrealtà? Poi capisco. Ho visto una gara. E ho visto solo quella. Gli atleti. La pista. Le persone, il pubblico, i fotografi. Non una scritta, un’immagine. Nessun logo. La guardo di nuovo, e realizzo in pieno che In quei venti secondi nessun codice visuale ha tentato, aggirando le mie difese coscienti, di convincermi a bere una bevanda gassata che fa male alla salute; sono stato lasciato libero nella scelta di quali scarpe mettere o no ai piedi; niente e nessuno si è fatto beffe della mia corteccia cerebrale andando a convincere gli strati profondi del mio SNC che quelli là vanno forte e sono eroi perché hanno bevuto questo, vestito quello, sono arrivati in Russia su quella macchina. Detto in parole facili: nessuno ha usato violenza contro di me. Perché quello, quella cosa normale la cui assenza fa sembrare oggi quel filmato ‘finto’ e surreale è: violenza. Condizionamento, inganno, tradimento. Violenza.
Penso questo, e poi per un attimo mi viene in mente quanto miserabile sia l’idea che per fare un altro mondo, più giusto, sia in fin dei conti sufficiente che un disgraziato di politico, o cento, o mille, prendano, invece che dieci, cinquemila euro; e magari si paghino il barbiere.

Alex Zobel

“-Merda”.

A volte il filo dei ricordi si dipana in un motore di ricerca: segno dei tempi, automatismo dell’oggi. Un tempo pensavamo: chissà cosa sta facendo adesso quel tale, quel viso, quel pezzo di storia che ti ricordi, che ti è restato dentro. E la domanda restava lì. Oggi cerchi, ricerchi, digiti. Qualche cosa si trova sempre. A volte quella che non vorresti, però. Chissà dov’è adesso Alex, mi chiedevo, quella sera di poco più di un anno fa. La prima riga era una cronaca di giornale, un incidente. Alex non c’è più. È morto, da tempo, e tu non lo sapevi. Merda, ho detto ad alta voce, anche se mia moglie stava dormendo, ma non si è svegliata. La voce non deve essere uscita tanto forte quanto il pensiero.

Mi sono messo a letto, e per un tempo che mi è sembrato molto lungo sono stato ad ascoltare il frastuono interiore, le frasi, i ricordi che si affacciavano alla mia memoria, a volte confusi e accavallati, a volte chiari e vividi. Quella notte dovevo congedarmi da lui, che accidenti di strana elaborazione del lutto, di qualcuno che già da tre anni, senza saperlo,  non avevo più la possibilità di incontrare in questo mondo. Questo succede ad andare a vivere lontano. Alex è stato il mio migliore amico. Per un tempo breve, brevissimo, e forse lui non lo sapeva, e probabilmente io non ero il migliore amico suo, o forse sì, non so. Eravamo al liceo, mi ricordo di questo ragazzo di 16 anni che mi si avvicina perché gli piaceva una ragazza di classe mia, una di quelle che piacevano a tutti, e che era mia amica. Voleva sapere qualcosa di lei, o che gliela presentassi, non lo so più. Lei non se lo è nemmeno filato, di questo sono certo, ma noi siamo diventati amici. Andavo a casa sua, in piazza Santa Caterina, e passavamo le notti a giocare a player manager sull’amiga. Non facevamo solo questo, ma non riesco più a dare una cronologia, un ordine alle cose. La memoria diventa un caleidoscopio. Ascoltavamo musica: i doors, ma soprattutto Branduardi. La pulce d’acqua. Il volto di Alex che si riempiva di meraviglia, ascoltando per l’ennesima volta ‘il ciliegio’, di quello stesso album: -“l’albero! Era l’albero il padre del figlio di quella ragazza, di cui il giardiniere era geloso…! “ E il volto si illuminava, perché Alex, e questa forse è l’unica cosa che davvero voglio dire di lui, viveva il presente con la generosità di un bambino, senza risparmiarsi, e di un bambino di quelli buoni, sinceri, dal cuore grande. Questo è quello che mi ha conquistato di lui, per sempre. La vostra vita non è davvero completa se non avete mai sentito Alex raccontare qualcosa. Qualsiasi cosa, un amore, una vacanza, una partita di hockey. La realtà diventava magia, e non perché lui vivesse tra le nuvole, proprio per il motivo contrario, perché era dentro a ciò che viveva, interamente, e attraverso la sua voce e i suoi occhi grandi sembrava di essere lì, con lui. E con la sua tristezza, perché io ricordo anche di aver sentito quel suo attrito con il mondo, quel portarsi dentro qualcosa di simile ad una ferita, un niente, un vuoto, che è un’altra delle cose che quando la incontro nelle persone me le fa sentire prossime, fraterne. Avevamo sedici anni, e ci siamo frequentati per circa un anno, un anno e mezzo. Nelle mie rimembranze notturne apparivano i volti dei familiari, una sorella dall’aspetto un po’ angelico che però in quel periodo non frequentava molto, la mamma , pittrice, credo, con la stessa ombra nello sguardo, il padre che ho visto una volta sola (“mio padre è come uno che è stato invitato a una festa, e tutti i suoi amici esaltati, vai, sarà bellissimo, straordinario e lui là, tutto arrazzato, felicissimo per la festa, poi va là all’ora e al posto giusto, ma non c’era nessuno, solo lui, l’avevano lasciato solo” –parlando del padre e del ’68). Ancora ricordi. La prima canna sul terrazzo di casa mia. I progetti di un viaggio, volevamo andare in Francia in bicicletta, non so come ci era venuto in mente, non sarei arrivato nemmeno a Viareggio, e non avevamo la bicicletta. E quando è scoppiata la guerra in Iraq, prendo la bicicletta alle due del mattino (giusto, allora ce l’avevo!) e vado in piazza Santa Caterina, volevo dire ad Alex che era cominciata la guerra, chissà in che film credevo di essere, ma le luci sul terrazzino erano spente, sono tornato a casa senza parlare con nessuno.

Poi siamo andati ognuno per conto suo, io portato via da una relazione con una ragazza troppo possessiva, e lui per un altro cammino. Non posso dire niente su tutto quello che è successo dopo. Certo Alex è diventato parecchio diverso, nell’apparenza, dal ragazzino che avevo conosciuto alla fine degli anni ’80. L’ho rincontrato poche volte. Poi c’è la rete, si trovano tante foto, alcune storie, dei commenti. La moto, la musica, i baffi, la birra. A me non piaceva, non per la distanza da quello che io ero diventato, non mi piaceva una certa sensazione di abbandono, di rinuncia. Ho trovato un commento di qualcuno che parlava di lui, diceva così, alle volte era Alex, alle volte era lo Zobel. Non ho il diritto di giudicare, non lo avevo quando Alex era vivo, figurati ora. Ma una sensazione di mancanza di cura, di attenzione a se stesso, l’avevo quando lo incontravo: molti la chiamerebbero libertà, ma io ho delle riserve. In ogni caso:  quel che so di Alex mi fa dire che se questo mondo fosse giusto, se le cose fossero al posto in cui dovrebbero essere, Alex sarebbe una persona rispettata, valorizzata, perché aveva una cosa in più, qualcosa di più grande delle persone comuni, ed era qualcosa che non ha valore di mercato, ma è vero, esiste, ed è una specie di luce che ti fa sentire che attraverso gli occhi di quella persona se avrai il tempo di fermarti a guardare vedrai il mondo e le cose in un aspetto differente, imprevedibile, vero. Solo questo.

Da molto tempo già volevo scrivere queste righe, per Alex, per me, per quel tempo, per la vita che non mi ha permesso di vivere molte cose con lui. Non è un elogio funebre, avrei pensato sempre di lui queste cose, forse non le avrei scritte. Ho conosciuto una persona speciale, tanti anni fa, che ha lasciato in me qualcosa di bello, di buono –a volte non servono aggettivi complicati per dire cose semplici- e immagino non solo in me. Custodirò le parole, gli sguardi, l’affetto. Vorrei che ci fossero molte persone come lui.



Scuola di Agricoltura Sostenibile

il pensiero che fa, il fa che pensa

dodicirighe

...di più equivale a straparlare.